05.03.2024
Varie | Violenza contro le donne

Donne in Italia

Il 29 gennaio 2024, nell’incontro pubblico di CEDAW con le organizzazioni della società civile, l’avvocata della Rete D.i.Re Marcella Pirrone ha presentato il rapporto Italian civil society for CEDAW, elaborato da 32 organizzazioni di donne e 4 esperte indipendenti, coordinate da D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza.

Il report, di gennaio 2024, esamina in sette capitoli, la vita pubblica e privata delle donne in Italia, con le relative raccomandazioni alla CEDAW.

In estrema sintesi, le donne in Italia sono ancora discriminate in molti ambiti della vita: lavoro, economia, potere, relazioni familiari e sono:

  • più povere degli uomini
  • con pensioni più basse di colleghi e mariti
  • vittime di violenze domestiche e campagne d’odio

Qui è possibile leggere il report delle organizzazioni italiane della società civile per la CEDAW, le associazioni, le professioniste e le esperte che hanno contribuito al lavoro e alla stesura del report e le relative osservazioni e proposte per ciascun capitolo della vita pubblica e privata delle donne in Italia.

 Donne in Rete contro la violenza, che ha coordinato questo prezioso e importante lavoro, successivamente ha espresso soddisfazione per il contenuto delle Osservazioni conclusive sull’ottavo rapporto dell’Italia sulla Convenzione per l’Eliminazione delle Discriminazioni contro le Donne (CEDAW). 

Sono stati, infatti, molti i punti segnalati del rapporto della società civile – presentato lo scorso 29 gennaio a Ginevra – ripresi dal Comitato CEDAW per formulare specifiche raccomandazioni allo Stato italiano.

Le osservazioni delle esperte del Comitato CEDAW confermano l’Italia come un paese caratterizzato dalla persistenza del sessismo e degli stereotipi di genere a livello sociale e istituzionale in relazione a tutti i temi trattati dalla CEDAW, in particolare educazione, violenza, lavoro, affermazione dei diritti delle donne, accesso alla giustizia” 

Tra i capitoli presi in esame nel report, ne segnalo alcuni, iniziando dal Cap. 3: Accesso alla giustizia e lo riporto di seguito.

-Nonostante l’introduzione del Codice Rosso, i dati disponibili rivelano che circa il 50% dei casi segnalati di violenza contro le donne vengono archiviati senza nemmeno arrivare al processo.

 I tassi di condanna sono bassi.

 La formazione specializzata su stereotipi e pregiudizi giudiziari in materia di violenza contro le donne non esiste. 

I corsi organizzati dalla Scuola Superiore della Magistratura si concentrano solo sugli aspetti legali e tecnici senza fare riferimento ai pregiudizi di genere, alla Convenzione di Istanbul o alla CEDAW. 

E’ stata introdotta una riforma giudiziaria generale (Riforma Cartabia) con l’obiettivo di migliorare l’efficienza del sistema di giustizia e di accelerare i procedimenti. Tuttavia, questa riforma potrebbe avere impatti negativi sui diritti delle donne in materia civile e penale.

 Nel diritto civile e di famiglia, la violenza contro le donne rimane invisibile, rendendo impossibile valutare l’impatto della riforma. In termini di diritto penale, e prima della riforma, il reato di lesioni tra 20 e 40 giorni commesso in contesto domestico era procedibile d’ufficio (Lesioni, art. 582 del Codice penale sulla violenza fisica).

 Dopo la riforma, il reato di lesioni fino a 40 giorni è procedibile solo a querela senza distinzione se le lesioni sono commesse in ambito familiare o domestico. Con la riforma, anche le molestie, la violenza privata e il sequestro di persona sono procedibili solo a querela.

 Nei casi pendenti, le vittime non sono state né notificate né informate delle modifiche. Di conseguenza, molte donne che non hanno sporto querela perché inizialmente non erano tenute a farlo, vedranno i loro casi archiviati senza notifica. 

 Le condotte riparatorie (Art. 162 ter c.p.p.) e la giustizia riparativa sono ampiamente disponibili come meccanismi di estinzione prima e dopo la condanna, limitando così l’accesso alla giustizia per le donne in situazioni di violenza. 

In particolare, la giustizia riparativa può essere condotta senza il consenso delle vittime e in loro assenza. 

È significativo che uno dei primi casi segnalati dai media in cui la giustizia riparativa è stata autorizzata senza l’approvazione della famiglia della vittima sia stato un tragico caso di femminicidio.

 Il patrocinio a spese dello Stato in tutti i casi in cui ricorre può essere un meccanismo discriminatorio in diritto di famiglia e nei casi di violenza contro le donne, spesso svantaggiando le donne, che lo richiedono più frequentemente. 

Con il patrocinio a spese dello Stato, gli avvocati e le avvocate ricevono meno della metà delle tariffe minime riconosciute, e dopo lunghi ritardi, il che significa che il loro lavoro non è economicamente vantaggioso. Pochi e poche consulenti (ad esempio psicologi e psicologhe o psichiatri e psichiatre) sono disponibili a tali condizioni. 

Non esiste una raccolta completa di dati pubblici o un’analisi su chi beneficia del gratuito patrocinio nei procedimenti di separazione e divorzio o sul compenso degli avvocati e delle avvocate e su come ciò influisca sulle donne.

 Un fondo per le spese legali delle vittime di violenza contro le donne è stato introdotto in alcune regioni (Piemonte, Lombardia, Lazio). Nei casi penali, sebbene il patrocinio a spese dello Stato, sia concesso alle vittime di violenza sessuale, maltrattamenti e stalking indipendentemente dal reddito, agli avvocati viene corrisposta la metà della tariffa standard. 

Questo pagamento spesso subisce ritardi e quindi non è economicamente vantaggioso per l’avvocato o l’avvocata. Le avvocate sono tradizionalmente più coinvolte nel diritto di famiglia, quindi il patrocinio a spese dello Stato ha un impatto sproporzionato su di loro. 

Dati recenti mostrano che le donne guadagnano la metà degli uomini nelle professioni legali. 

Gli ostacoli all’accesso alla giustizia e nel negare la capacità giuridica alle donne con disabilità sono dettagliate alle pagine 10 e seguenti del Rapporto.-

Grazie a queste analisi del report, secondo il Comitato CEDAW:

È stato delineato un quadro di persistenti discriminazioni e mancata affermazione dei diritti delle donne in Italia, che è radice del problema della violenza contro le donne ed esacerba tutte le forme di violenza (fisica, psicologica, sessuale, economica e domestica) che infatti il Comitato chiede di definire in linea con la Raccomandazione generale n. 35 sulla violenza di genere contro le donne, aggiornando la Raccomandazione generale n. 19. Rispetto all’ esistente sistema di contrasto alla violenza il Comitato CEDAW osserva gravi deficit strutturali,

afferma Elena Biaggioni, vicepresidente D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza

Il Comitato CEDAW, oltre a sottolineare la crucialità di finanziamenti adeguati ai centri antiviolenza e alle case rifugio, ha espresso  raccomandazioni che riguardano nello specifico la violenza alle donne e la formazione delle professioniste e dei professionisti che si occupano di tale fenomeno con le indicazioni per:

  • “Rafforzare la formazione dei professionisti in ambito giudiziale e legale nonché affrontare i pregiudizi giudiziari di genere e prevenire la vittimizzazione secondaria delle donne 
  • Garantire, attraverso formazione continua e obbligatoria di giudici, pubblici ministeri, funzionari di polizia e altri funzionari incaricati dell’applicazione della legge che gli ordini di protezione siano effettivamente applicati e monitorati, con sanzioni in caso di mancata osservanza.

Auguri a tutte le donne!

Fonti:

CEDAW: raccomandazioni all’Italia. Accolte le istanze della società civile. – D.i.Re – Donne in Rete Contro la Violenza (direcontrolaviolenza.it)

rapporto-avvocatura-2022.pdf (cassaforense.it)